Uso della punteggiatura: la virgola

L’uso della punteggiatura è mancante di una normazione precisa ed esaustiva. Inoltre, esso può variare a seconda del contesto: quanto più uno scritto è formale, tanto più precisa dovrà essere l’interpunzione. Non è vero, però, il contrario: un contesto informale, quotidiano, non può giustificare il mancato rispetto delle “convenzioni d’uso elementari”, come ci ricorda la linguista Bice Mortara Garavelli:

Si dice comunemente che esistono forme diverse di punteggiatura: logica, stilistica, ritmica. Sono differenze che comportano gradi diversi di costrizione per chi scrive, corrispondenti a gradi diversi di rigidità delle convenzioni interpuntive, e quindi di libertà da queste. Libertà non significa anarchia. Ignorare le convenzioni d’uso elementari non è motivo onorevole per infrangerle.

Bice Mortara Garavelli

Tratto da: Prontuario di punteggiatura, Editori Laterza, Bari, 2003

La virgola, questa sconosciuta

È uno dei segni d’interpunzione più problematici. Indica genericamente una pausa breve, ma molto spesso è indispensabile per la comprensione del testo:

“Luca, è arrivato Gianni” ha un significato diverso rispetto a “Luca è arrivato, Gianni”.

Di seguito un esempio tratto dal manuale della Garavelli:

“Non ha giocato come tutti si aspettavano”.

Questa frase cambia completamente di significato con l’uso di una virgola:

“Non ha giocato, come tutti si aspettavano”.

Andiamo più nello specifico e scopriamo una regola fondamentale. La virgola non può essere usata tra:

  • SOGGETTO E VERBO
  • VERBO E OGGETTO
  • SOSTANTIVO E AGGETTIVO

La regola vale a prescindere dalla lunghezza della frase (in particolare per ciò che riguarda soggetto e verbo). Eppure i linguisti segnalano — con esempi tratti spesso dalla letteratura — alcune eccezioni:

  • quando tra soggetto e verbo o tra questo e l’oggetto è presente un inciso, marcato da due virgole, una in apertura e una in chiusura. Come evidenziato, le virgole devono essere due. Analizziamo la frase: “Renzo e Lucia, dopo mille peripezie, convolarono a nozze”. Tra il soggetto [Renzo e Lucia] e il verbo [convolarono] è presente l’inciso [dopo mille peripezie], delimitato da due virgole;
  • se si vuole mettere in evidenza uno degli elementi. In questi casi è frequente la posposizione del soggetto: “Mangiava, lui, incurante di tutto”. Diverso sarebbe il peso di Lui mangiava, incurante di tutto”. È chiaro, nel primo caso, l’intento di spostare l’attenzione — con una nota polemica, se vogliamo — sul soggetto. Cito un altro esempio — tratto da L. Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Utet —: Il prete, non poteva dirle nulla” (Pasolini). Dovremmo considerare la virgola dopo [prete] un errore, ma considerato il livello dell’autore è certamente una licenza volta a spostare l’attenzione del lettore sul soggetto. Va precisato che questi esempi letterari — frutto di scelte stilistiche meditate e circoscritte — non legittimano un uso anarchico della virgola; la regola di base deve essere seguita.
Frasi lunghe e distanza fra elementi

Oltre quanto enunciato, talvolta è la lontananza tra soggetto e predicato a indurre lo scrivente ad apporre una virgola laddove non andrebbe aggiunta. In verità è ammessa una deroga in tal senso, ma solo se la virgola dovesse essere indispensabile per comprendere il testo. Più debole la presunta necessità di dare respiro a chi legge, in frasi particolarmente lunghe. Per esempi specifici si rimanda al manuale già citato.

Mi limiterò a riportare qui una frase della Garavelli che aiuta a spiegare meglio la regola principale, ossia di non inserire la virgola tra il verbo e i suoi argomenti: “La decisione di anteporre le indicazioni pratiche alle riflessioni sulla natura e sui ruoli diversissimi che ha avuto nel corso dei tempi un sistema variabile come è quello di cui ci stiamo occupando nasce dall’intento di rispondere preliminarmente a una delle possibili aspettative di chi consulti un prontuario”. Qui viene rispettata la regola di base: tra il soggetto [La decisione…] e il verbo [nasce] non è presente nessuna virgola, sebbene la frase sia molto lunga. A tanti, anche professionisti della scrittura, sarebbe venuto spontaneo inserire una virgola subito prima del verbo. Lo affermo perché si commette spesso questo errore — e ne ho dimostrazione quasi quotidiana —, anche in ambienti colti.

La virgola prima della congiunzione [e]

Ci si chiede spesso se sia corretto utilizzare la virgola prima della congiunzione [e]. Non esiste una risposta univoca, occorre considerare la funzione svolta di volta in volta dalla congiunzione. Di seguito un esempio proposto da Bice Mortara Garavelli:

  • Facciamo le parti: Giorgio, Ada, Ugo e Anna”. Non è chiaro se le parti siano tre o quattro, perché Ugo e Anna possono valere per una parte e non per due. Se si intendesse individuare quattro parti, si dovrebbe scrivere: “Facciamo le parti: Giorgio, Ada, Ugo, e Anna”.

Un altro caso può essere individuato quando la [e] introduce un inciso delimitato da due virgole. In generale possiamo affermare che la virgola anteposta a una congiunzione serve a “indicare un confine linguistico” (Garavelli), e l’opportunità del suo utilizzo si può desumere dal contesto. Per altre casistiche, si rimanda a quanto precisato dall’Accademia della Crusca.

Casi particolari: ma, né, sia, o

In generale, si ritiene corretto utilizzare la virgola prima di [ma] nella coordinazione di due frasi avversative. Si può omettere, invece, l’interpunzione se le frasi sono brevi o se sono composte esclusivamente da sintagmi verbali. Esempi:

  • brutti ma buoni
  • cerca ma non trova

A parte questi esempi, occorre precisare che anche in frasi più lunghe si assiste, talvolta, all’omissione della virgola prima di [ma]. Ciò dipende essenzialmente dal rapporto tra le parti. D’altro canto, le frasi brevi possono presentare comunque la virgola prima della congiunzione [ma]: è frequente quando si vuole dare maggior risalto alla parte che precede la virgola. Se scrivessimo [brutti, ma buoni], l’attenzione cadrebbe su [brutti]. Nell’esempio senza virgola, al contrario, si mette in evidenza [buoni].

Le correlative [sia… sia] e [né… né] vanno generalmente senza virgola, ma il discorso cambia se sono presenti incisi o se tra la prima occorrenza e la seconda c’è una certa distanza. Riporto un esempio dal Prontuario di punteggiatura: “Non è superfluo ripetere che, in ogni caso, ciascuna delle congiunzioni fin qui considerate è preceduta da virgola sia quando si intende dare valore parentetico alla frase introdotta dalla stessa congiunzione, sia quando lo stesso valore viene assegnato alla frase che viene prima”.

Per quanto riguarda la congiunzione disgiuntiva [o], la virgola va evitata quando la [o] ha un significato assimilabile a cioè, ossia. Se accompagnata da meglio, con una funzione correttiva, è bene delimitare il gruppo con due virgole: “È tempo di muoversi, o meglio, di impegnarsi a fondo” (Garavelli).

Chiudo con qualche osservazione in merito. Questa disamina, assolutamente non esaustiva, si riferisce alle regole basilari per un corretto uso della virgola. Regole che è bene conoscere per evitare errori grossolani. La stessa Bice Mortara Garavelli sottolinea, però, in riferimento alle congiunzioni, che possono intervenire “ragioni di opportunità che possono indurre […] a ridurre le presenze di virgole in porzioni di testi che ne siano già stipate”. In sintesi, Il fattore più importante è l’esigenza di tutelare il senso e la comprensibilità degli enunciati. È in base a questo che si decide se una virgola è indispensabile o è di troppo”. D’altro canto, alcuni contesti richiedono maggiore snellezza, come evidenzia anche l’Accademia della Crusca. La scrittura sul web, ad esempio, predilige frasi brevi e queste limitano di conseguenza l’uso della virgola. È bene utilizzarla dove davvero necessaria e ricordare che le pause negli scritti non sono identiche a quelle del parlato.

QUANDO E DA CHI È STATA INTRODOTTA LA VIRGOLA? La virgola compare nel Medioevo — anche se graficamente diversa rispetto a come la conosciamo — con l’introduzione dei caratteri minuscoli, ma si affermerà con l’avvento della stampa. Sarà l’editore veneziano Aldo Manuzio, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, a usare i segni di interpunzione in modo rigoroso e con i simboli grafici che conosciamo.